giovedì 8 settembre 2011

Sunny 16 Revisited

Nell'applicazione della regola del 16 noto che spesso molti trovano difficoltà nel riferirsi alle coppie di valori EV in quanto, nonostante rappresentino dei valori ben definiti in termini di luce disponibile, sono difficilmente interpretabili in maniera istintiva, ovvero la loro asetticità numerica si pone cone ostacolo tra la comprensione e l'applicazione, costringendo a elaborazioni mentali troppo noiose. All'atto pratico, perché mai dovremmo associare alla luce piena un valore pari a 15? Risulta senza dubbio di difficile memorizzazione.
Allo stesso modo, molti si scoraggiano perché non capiscono che l'accoppiata 1/125 - f/16 per le pellicole 100 ASA non è il riferimento base assoluto, cosicché invece di esporre subito usando la coppia corretta elaborano prima la coppia giusta per i 100 ASA e poi, se usano una 400, traslano i valori di due stop. Tutto questo è di una complessità assurda e ben comprendo come molti si scoraggino facilmente trovando il metodo lungo e noioso.
Per spezzare una lancia in favore dell'esposizione stimata a vista, posso proporre di inquadrare la regola del 16 secondo un'ottica ben più comoda: gli stop di differenza.
Ovviamente il concetto alla base è il medesimo, ma al fine di esporre un fotogramma possiamo trascurarlo del tutto per abituarci ad utilizzare un sistema ben più semplice. Qual'è la massima luce disponibile? Semplice: il sole pieno. Nessuno ha difficoltà a individuare una condizione di luce piena in una giornata di sole. Questo sarà il nostro punto fisso, il massimo raggiungibile. Quello che dobbiamo chiederci, e abituarci a valutare ogni volta, è "quanta luce in meno ho, di fronte a me, rispetto alla luce piena?"
Dobbiamo sistematicamente abituarci a determinare gli stop di differenza tra la luce piena e l'inquadratura desiderata, ma non in termini di tempi e diaframmi bensì di luce disponibile. Questa è un'operazione concettualmente semplice che col tempo si radicherà nella nostra testa ben più facilmente e saldamente rispetto a quanto non possa fare la pedissequa memorizzazione di coppie tempo/diaframma.
Per esempio, con l'abitudine, ora so che un sottopassaggio ferroviario ben illuminato è un "-9" ovvero fornisce una luce di nove stop inferiore a quella di una giornata di pieno sole. Allo stesso modo, mentalmente, individuo ogni scena col suo valore; un valore per le giornate di pioggia, uno per gli interni in estate, uno per il cielo coperto, uno per le sale d'aspetto e così via.
In sostanza, inquadrando il concetto secondo quest'ottica ci si abitua a stimare non dei valori astratti ma proprio la quantità di luce disponibile. E' a questo punto che, applicando la regola del 16, si potrà procedere a impostare la giusta coppia tempo/diaframma, senza associarla necessariamente a una specifica condizione di luce.
In sostanza non sarà necessario ricordarsi che in una giornata molto nuvolosa "potrei esporre una 100 ASA a 1/60 e f/4" quanto piuttosto ricordarsi che le giornate nuvolose "sono -5".
Circa, è ovvio.
L'abitudine e la pratica, poi, saranno quelle che faranno operare sul momento quelle lievi correzioni dettate dalle condizioni al contorno e, via via, da molte altre inquadrature simili ma con un po' di luce in più o in meno.
Dopo qualche rullo, credetemi, la necessità dell'esposimetro scomparirà.
Meglio ancora, un gioco divertente e decisamente educativo consiste nel provare a indovinare gli stop di differenza quando siamo in giro senza necessariamente dover scattare una foto, verificandoli poi con l'esposimetro per vedere di quanto si è sbagliato e in quale direzione.
Non vorreste anche voi poter rivaleggiare con gli esposimetri?
Beh, potete :-)

giovedì 1 settembre 2011

Toby, segretamente detto Rapino





Lui è Rapino.
O meglio, sarebbe Toby, ma l'ho scoperto solo mesi dopo, quando un'amica l'ha chiamato per nome mentre ci diceva che è il gatto di suo fratello.
Mesi prima, invece, mentre passeggiavamo per l'orto, aveva una gran voglia di giocare e si emozionava per tutto, specialmente per le piante di rape fiorite attorno alle quali saltava in cerchio come un pazzo. Poi ci ha seguiti nell'uliveto, tenendosi dietro di noi a cinque o sei metri, salendo sugli ulivi a tenerci d'occhio come una sentinella pellerossa, finché vinta la timidezza non si è persuaso che fossimo innocui e si è deciso a giocare con noi.
Ora è cresciuto ma pattuglia sempre l'orto e l'uliveto; a volte lo incontriamo. Io lo chiamo Rapino, lui mi osserva e ho quasi l'impressione che faccia un sorrisetto complice.
Loro non lo sanno, ma non si chiama Toby.
Toby è un nome da cani.
Lui è Rapino, la sentinella indiana.
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Shot on Pentax MX, Ilford HP5+