martedì 25 novembre 2014

Fotoamatore un cazzo


 Sul web c'è tutto un florilegio di soggetti che si sperticano a sottolineare la fondamentale differenza che passa tra fotografo e fotoamatore.
Fotoamatore, lasciatevelo dire, è un termine del cazzo. E' quel genere di termine velatamente denigratorio che una categoria si inventa per prendere le distanze da tutti quelli che orbitano intorno all'oggetto della propria professione costituendo un potenziale rischio per il proprio giro d'affari, talvolta misero seppur dignitoso.
E il punto della questione si snocciola proprio qui: il professionista.
Com'è che la maggior parte di quelli che fanno il fotografo di mestiere si affanna a sottolineare questa differenza? "Lui è un fotoamatore, non un fotografo", si legge spesso.
Io, in genere, quando si arriva a questa distinzione mi incazzo come una bestia.
Perché - pensateci un attimo - cos'è, nella mente di questi soggetti, che dovrebbe distinguere il fotografo dal fotoamatore? Il fatto di fare foto per professione? La partita IVA?
Non prendiamoci per il culo. Il mestiere di fotografo è uno di quei lavori che non è soggetto al conseguimento di alcun titolo abilitativo. Per chiarire, qualsiasi scemo con qualche soldo da buttare via in contabilità e probabili incongruenze agli studi di settore dell'anno successivo può aprire partita IVA da fotografo senza aver frequentato alcun corso formativo, senza titolo di studio e a dirla tutta senza nemmeno possedere una macchina fotografica. A quel punto il suddetto stordito può bellamente fregiarsi del fantastico e onorevole termine di "fotografo professionista".
Ma allora, mi chiedo io, a che scopo distinguere tra fotografo e fotoamatore? E che razza di termine ridicolo è, "fotoamatore"? Come se uno che suona la tromba ma non da professionista fosse un "trombamatore", per dire. O come se Van Gogh, morto in miseria, non avesse avuto titolo a definirsi pittore solo perché con la pittura non ci campava.
C'è, nell'uso comune, una sola analogia di una certa valenza ed è costituita dal nobilissimo termine "radioamatore", il quale però viene usato fieramente dai radioamatori stessi (che vi assicuro sono orgogliosissimi del proprio operato e ben più preparati di molti professionisti del settore) i quali non hanno la minima necessità di distinguersi dagli operatori radio professionisti, che si chiamano, per inciso, "marconisti". Il fatto è che il termine è proprio nato così. Senza contare che - e ve lo dico per esperienza personale, essendo radioamatore con licenza di classe A - per fare il radioamatore occorre sostenere un impegnativo esame presso il Ministero delle Comunicazioni.
Ma rincariamo la dose.
Se restiamo in ambito fotografico non possiamo ignorare il fatto che, tra i grandi fotografi, ci siano stati eccellenti esempi di puro genio del tutto estranei al concetto di fotografo professionista.
Voi andreste a dire a Saul Leiter o a Vivian Maier, per prendere i primi due che mi vengono in mente, "tu non sei un fotografo, sei solo un fotoamatore"? Penso che chiunque si troverebbe quantomeno in imbarazzo.
Beh, se non altro per il fatto che sono morti entrambi, ma questa è un'altra storia.
Insomma, riassumendo: il termine "fotografo" non necessita di titolo abilitativo e prescinde dal fatto che si eserciti l'attività come professione, quindi il termine "fotoamatore" a cosa serve?
Non ditemi che serve a distinguere Helmut Newton dalla casalinga che scatta foto dei nipoti ai giardinetti, per cortesia. Lei è la prima a non porsi il problema, perché dovremmo essere noi a pensarci?
No, niente di tutto ciò.
Ve lo dico io a cosa serve.
Serve a una nutrita schiera di professionisti convinti di sé e con molto tempo a disposizione a gettare merda sui dilettanti nel timore (fondatissimo, per carità) che tra questi ultimi ci sia qualcuno che svendendosi o facendo del nero sottragga loro il lavoro. Non dico che il problema non sussista, anzi: esiste ed è grave.
Solo che a quanto pare si fa prima a dir male, a sgolarsi sui social - è anche catartico, tra l'altro - che a organizzarsi come categoria e pretendere la tutela normativa del proprio lavoro. Non sia mai che poi tocchi sostenere qualche esame per poter continuare a esercitare. C'è dell'altro: il contesto. Se un povero diavolo vuole mostrare il proprio lato artistico e mette su una pagina web con scritto "fotografo", dico, saranno pure cazzi suoi. Dobbiamo crocifiggerlo?
Io sono un architetto; lavoro un po' come professionista e insegno a scuola, ma nemmeno Renzo Piano può venire a dirmi che io non sia un architetto. Faccio foto per passione, senza trarne profitto e senza cercare affannosamente consenso e mi sento a tutti gli effetti un fotografo; se qualcuno ha qualcosa da obiettare, vaffanculo.
Cari, amatissimi, simpatici fotografi professionisti, lasciatevi dare un consiglio da un non professionista: alzate il culo e tutelate la vostra professione.
E fatelo insieme.
Cazzo.

mercoledì 19 novembre 2014

Grossolane bischerate

Novembre 2014.
Compro "Il Tirreno" e nelle pagine centrali c'è un ampio inserto che mi svela il mio futuro, illustrandomi i prodigi della tecnologia attuale e spiattellandomi in una striscia in testa a ogni pagina le invenzioni del passato ormai superate, tipo la lavatrice manuale, le audiocassette o il Betamax. Poi vedo questa.
"Non esiste più dal 2009".
Certo, perchè quelle che stavo scansionando ieri erano entità aliene.
Perchè nessuno più produce "la speciale pellicola".
Ma dico io, quando si scrive un intero speciale sulla tecnologia, non sarebbe magari il caso di farlo redigere a qualcuno che ha almeno qualche nozione? O informarsi, come minimo. La gente compra il giornale, per informarsi; mi sorge il sospetto che facciano male.
Poi ci si stupisce se il presidente del consiglio sostiene che l'Italia del rullino è finita. Magari l'ha letto su Topolino.

martedì 8 aprile 2014

Ricordando Saul Leiter

Ho scoperto Saul Leiter troppo tardi. Abituati come siamo a vedere la città attraverso occhi e obiettivi di fotografi più noti, spesso incapaci di vedere il bello nel consueto.
Saul Leiter minimizzava sul suo ruolo e scherzava sulla sua arte.

"Per costruire una carriera e avere successo occorre essere determinati. Bisogna essere ambiziosi. Io preferisco di gran lunga bere caffè, ascoltare musica e dipingere quando ne ho voglia"

Lui dipingeva e scattava perché ne aveva voglia e a quanto pare era uno di poche pretese. Un ombrello a margine del fotogramma, i mezzi pubblici, i lavoratori e una miriade di vetrine, appannate, limpide, coperte di pioggia, riflessi della vita reale.
Un brulicare di cose e persone intorno a lui da osservare e catturare senza tanta fretta, per parafrasare il titolo del documentario a lui dedicato.
Fotografare il normale, perché in definitiva è la felicità ad essere importante. Leiter non comprendeva il motivo per cui un fotografo dovesse credere che la rappresentazione dell'umana miseria potesse dare importanza allo scatto stesso, come in una sorta di ricompensa per aver sensibilizzato su un problema.

"Non credo che la miseria sia più profonda della felicità" diceva.

Come dargli torto?